A New York qualcuno ha con sé un libro, nessuno ha lo smartphone. «D’estate, portiamo pure le amache», ci dice la sua amica Logan Lane. Logan, Jameson, Odile Zexter-Kaiser e l’unico maschio, Max Frackman, hanno rinunciato agli smartphone scegliendo di usare telefonini «a conchiglia» popolari vent’anni fa e che oggi sembrano reperti archeologici. Sono i ragazzi del Luddite Club, il club dei luddisti, un gruppo di adolescenti nato alla Murrow High School. Anche col freddo, la pioggia, la neve, si incontrano qui ogni domenica e, dopo aver cercato inutilmente una loro presenza online, li abbiamo trovati imbattendoci in loro, come si faceva una volta. «Stiamo aspettando un paio di altri amici». Quando i ritardatari arrivano, si addentrano nel parco, a disegnare, leggere, suonare la chitarra.
Secondo il New York Times, il nome Luddite Club l’ha inventato la mamma di Logan: deriva da Ned Ludd, l’operaio che nel 1799 in Gran Bretagna distrusse un telaio, dando vita a un movimento che reagì con violenza all’introduzione delle macchine nell’industria. Adesso il termine indica chi rifiuta la tecnologia. Per questi ragazzi è una questione di salute mentale. Il loro antisocial network (come lo ha definito una rivista studentesca) ha una portata rivoluzionaria per una generazione che non ha mai vissuto senza social media.
Logan ha avuto il suo primo cellulare a 10 anni, il primo smartphone a 11: subito ha creato un profilo Instagram. Si addormentava alla luce del cellulare, ammirava le bambine «popolari»: carine, le prime ad avere i fidanzati, vestite bene. Si sentiva strana in confronto a loro. Da una parte voleva emularle, dall’altra rifiutava di dover essere «popolare». In seconda media ha iniziato a pubblicare un mucchio di foto strane nelle sue Stories (un esempio: i suoi piedi nella vasca da bagno). Si chiama «casual Instagram»: fai finta di postare «la qualunque», come se non ti importasse, mentre quello era il periodo in cui «le importava più». Perdere il cellulare si è rivelata una liberazione: da allora ha cercato di disintossicarsi da Instagram, chiedendo alla migliore amica di cambiarle la password per sfuggire alla dipendenza… Aveva 14 anni quand’è iniziata la pandemia e il suo uso dei social è decollato. Si è resa conto di non riuscire più a distinguere le cose che faceva perché le piacevano da quelle che faceva solo sapendo che ne avrebbe postato le foto. Nella vita le sembrava di recitare per essere all’altezza della sua persona social. Allora ha cancellato tutti i profili e annunciato al papà (che lavora nel campo delle tecnologie) che abbandonava lo smartphone.